𝐏𝐄𝐑 𝐔𝐍𝐀 𝐂𝐎𝐌𝐔𝐍𝐈𝐓𝐀’ 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐎 𝐒𝐆𝐔𝐀𝐑𝐃𝐎

C’ero anch’io la scorsa settimana , non senza qualche disagio, in uno di 𝐪𝐮𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐫𝐭𝐞𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐚 𝐬𝐞𝐫𝐚 𝐭𝐚𝐫𝐝𝐢 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐞 𝐯𝐢𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐢𝐧𝐝𝐨𝐬𝐬𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐧𝐞 𝐜𝐮𝐟𝐟𝐢𝐞 𝐛𝐥𝐮𝐞𝐭𝐨𝐨𝐭𝐡 𝐝𝐚𝐢 𝐛𝐨𝐫𝐝𝐢 𝐢𝐥𝐥𝐮𝐦𝐢𝐧𝐚𝐭𝐢. Ma chi sono? Da dove vengono? Che fanno? O, più probabilmente, che vanno facendo? Si sarà chiesto più d’uno nel vederci passare. Lo capivamo dagli sguardi attoniti e dai sorrisetti imbarazzati, senza che potessimo dargli retta; troppo presi dall’ascolto in cuffia della voce che ci invitava a guardarci intorno, immaginando ciò che prima c’era ed oggi non c’è più.

In realtà, tranne che per il teatro Eden, un tempo sull’attuale piazzetta Mercato, 𝐜𝐡𝐢 𝐡𝐚 𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐞𝐭𝐚̀ 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐫𝐞 ciò che invece i più giovani tra noi non avevano mai visto: l’arena Giardino, il cine-teatro Pesante, il cinema Fulgor, l’arena Impero, l’arena San Lorenzo, il cinema Vittoria … ed altri spazi al chiuso o all’aperto che nel secolo scorso hanno visto la proiezione di film di ogni genere: da “Via col Vento” a “C’era una volta in America”, da “Il Dottor Zivago” a … “Zorro contro Maciste” (visto al “Piscinone”). 𝐔𝐧𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐚𝐛𝐨𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐞, 𝐪𝐮𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨𝐯𝐞, 𝐞̀ 𝐝𝐮𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐨𝐜𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐝𝐢 𝟓𝟎 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐥𝐚𝐬𝐜𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐜𝐜𝐞, tranne una: il cine-teatro San Michele, ancora in attività grazie ad un felice passaggio generazionale.

𝐋𝐚 𝐯𝐨𝐜𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐜𝐮𝐟𝐟𝐢𝐞 𝐥𝐢 𝐡𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐭𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 (𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐬𝐢), 𝐞 𝐚𝐝 𝐨𝐠𝐧𝐮𝐧𝐨 𝐡𝐚 𝐫𝐢𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐨, 𝐮𝐧 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨. Anzi, alla voce narrante di Marcello Gori, autore anche delle musiche, facevano da contrappunto quelle di tanti cittadini di ogni età, intervistati prima dell’epidemia COVID, che hanno arricchito il racconto con aneddoti legati a quei luoghi e a quei tempi, tratti da ricordi personali o da quelli dei genitori. Emozioni intense e sentimenti collettivi che hanno evidentemente contribuito alla silenziosa metamorfosi dello spazio visivo, del linguaggio e dell’universo simbolico e sensoriale di ognuno, che solo il cinema sa magicamente suscitare, lasciando un’impronta indelebile nell’esperienza personale come nella storia stessa della città.

𝐐𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐂𝐢𝐫𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐁𝐞𝐫𝐠𝐦𝐚𝐧 𝐝𝐢 𝐌𝐢𝐥𝐚𝐧𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐨̀ 𝐧𝐨𝐧 𝐯𝐨𝐥𝐞𝐯𝐚 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞, 𝐧𝐞́ 𝐥𝐨 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚, 𝐮𝐧’𝐨𝐩𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐚𝐥𝐠𝐢𝐜𝐚. E’ stato, piuttosto, un modo innovativo di raccontare e di far immaginare ciò che è stato e ciò che poteva e che forse potrebbe ancora essere: 𝐮𝐧’𝐞𝐩𝐨𝐜𝐚 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐥’𝐚𝐫𝐭𝐞, 𝐬𝐢𝐚 𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐜𝐢𝐧𝐞𝐦𝐚 𝐨 𝐭𝐞𝐚𝐭𝐫𝐨 𝐨 𝐦𝐮𝐬𝐢𝐜𝐚 𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐬𝐬𝐚̀ 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨, 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐦𝐦𝐚, 𝐥𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚, 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚, 𝐞 𝐦𝐚𝐠𝐚𝐫𝐢 𝐩𝐨𝐭𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐭𝐨𝐫𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐝 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞, 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧 𝐫𝐢𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐦𝐚 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚̀: 𝐮𝐧𝐚 “𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐨”, come direbbe il mio amico sociologo del diritto e cinefilo F.Saverio Nisio, che su questo tema (e con questo titolo) vi ha scritto un libro (edito da Giappichelli Editore, per chi lo volesse leggere).

Nel taglio dato al racconto, spero non me ne voglia, 𝐜𝐢 𝐡𝐨 𝐯𝐢𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐨𝐢 𝐥𝐨 “𝐬𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐒𝐞𝐯𝐞𝐫𝐨” 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐂𝐨𝐬𝐢𝐦𝐨, 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐁𝐨𝐭𝐭𝐞𝐠𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐀𝐩𝐨𝐜𝐫𝐢𝐟𝐢, ispiratore del progetto, che, quanto ai cinema, ha sperato fino alla fine che non si consentisse il cambio d’uso degli ultimi due luoghi simbolo di quell’epoca: il cinema Fulgor e l’ arena Impero, sebbene chiusi da trent’anni.

Uno sguardo, il suo, non certo singolare perché comune a molti (e, in buona parte, anche a chi scrive), 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐥𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐥𝐭𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐨, 𝐨 𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐨 𝐞̀ 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐟𝐨𝐧𝐝𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐚𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐢𝐝𝐞𝐚𝐥𝐞 𝐯𝐨𝐥𝐮𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐟𝐨𝐧𝐝𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞, Re Manfredi, e realizzata dai suoi successori (fatta di strade ordinate, tra loro parallele e perpendicolari, circondate da spesse mura con torrioni di guardia e, all’interno, un magnifico castello, numerose chiese ed eleganti palazzi nobiliari). 𝐔𝐧𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐚 𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐢𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞, che per secoli ha trovato proprio nel mare le sue vere opportunità di sviluppo, per poi girargli le spalle.

Nel camminare, 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐬𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐒𝐞𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐥𝐨 𝐬𝐢 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢𝐯𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐯𝐨𝐜𝐞 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐟𝐟𝐢𝐚 𝐜𝐢 𝐢𝐧𝐯𝐢𝐭𝐚𝐯𝐚 𝐚 𝐬𝐨𝐟𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚𝐫𝐜𝐢 𝐬𝐮𝐢 𝐧𝐨𝐧-𝐥𝐮𝐨𝐠𝐡𝐢 𝐞 𝐬𝐮𝐠𝐥𝐢 𝐞𝐝𝐢𝐟𝐢𝐜𝐢 𝐝𝐢 𝐝𝐮𝐛𝐛𝐢𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐚𝐫𝐜𝐡𝐢𝐭𝐞𝐭𝐭𝐨𝐧𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐢𝐭𝐨 𝐢 𝐜𝐢𝐧𝐞𝐦𝐚, e poi su quei palazzi, alti fino a sette piani, additati, a giusta ragione, 𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐞𝐧𝐧𝐞 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐚𝐜𝐜𝐡𝐞𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐮𝐛𝐢𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐬𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐭𝐚 (pari, per capacità di devastazione, solo a quello dei turchi del 1620) e che oggi ci porta ad invidiare non solo Trani ma anche tante altre città pugliesi e le loro classi dirigenti, che quel passato urbanistico hanno saputo invece tutelare e poi valorizzare.

𝐒𝐞 𝐬𝐢 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐞𝐠𝐠𝐢𝐚𝐭𝐞 𝐧𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐫𝐢𝐬𝐜𝐡𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐢𝐧 𝐮𝐧 𝐦𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐥𝐥𝐞𝐠𝐫𝐢𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 “𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐝𝐨𝐥𝐞𝐧𝐭𝐞” e tra “le genti dolorose, ch’hanno perduto il ben dell’intelletto”, per finire col dire a chi ascolta, come nel terzo canto della Divina Commedia, “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, 𝐞̀ 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐭𝐚𝐧𝐜𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐮𝐠𝐠𝐞𝐫𝐢𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐢𝐭𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐟𝐮𝐠𝐠𝐢𝐫𝐞 𝐯𝐢𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐪𝐮𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐜’𝐞̀ 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐦𝐚 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐮𝐬𝐜𝐢𝐫𝐞 𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐦𝐞𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐩𝐫𝐞𝐜𝐞𝐝𝐮𝐭𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐫𝐞. Di imparare dagli esempi positivi come dagli errori ed orrori altrui, sapendo distinguere tra gli uni e gli altri. 𝐃𝐢 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐨𝐫𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐧𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐯𝐢𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐩𝐨𝐢 𝐭𝐨𝐫𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐚𝐫𝐞, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐫𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐡𝐚 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐂𝐨𝐬𝐢𝐦𝐨, tornando da Bologna e fondando, con Stefania Marrone e Fabio Trimigno, la Bottega degli Apocrifi e dimostrando che si può fare teatro professionale anche in un posto come questo, e perfino a diventare punto di riferimento della vita culturale della città e dell’intera Regione.

Una volta a casa, dopo la visita guidata e il piccolo dibattito che, come da programma, si è svolto al rientro in sala, mi sono ritrovato a pensare, non senza un pizzico di orgoglio, che 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐨 𝐢𝐥 𝐓𝐞𝐚𝐭𝐫𝐨 ” 𝐋𝐮𝐜𝐢𝐨 𝐃𝐚𝐥𝐥𝐚” 𝐞̀ 𝐬𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐞, 𝐢𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨𝐭𝐞𝐧𝐝𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐯𝐢 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐚𝐥𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚𝐥 ’𝟗𝟓 𝐢𝐧 𝐩𝐨𝐢 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐡𝐚 𝐢𝐧𝐯𝐞𝐬𝐭𝐢𝐭𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐨𝐜𝐨, 𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐥 𝐬𝐚𝐜𝐜𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐡𝐚 𝐚𝐟𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐢𝐛𝐮𝐢𝐭𝐨 𝐞𝐝 𝐚𝐧𝐳𝐢, 𝐧𝐞𝐢 𝐥𝐢𝐦𝐢𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐡𝐚 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐩𝐨𝐫𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐦𝐞𝐝𝐢𝐨, recuperando e ridando una funzione a palazzi storici chiusi perché inagibili da decenni: come 𝐏𝐚𝐥𝐚𝐳𝐳𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐂𝐞𝐥𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐢 (dove è stata allestita la nuova e moderna biblioteca comunale e realizzato un auditorium, poi intitolato al poeta e scrittore Cristanziano Serricchio, e dove al piano terra ha sede la banda musicale); 𝐏𝐚𝐥𝐚𝐳𝐳𝐨 𝐒𝐞𝐦𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨, felicemente destinato a scuola elementare; 𝐏𝐚𝐥𝐚𝐳𝐳𝐨 𝐎𝐫𝐬𝐢𝐧𝐢, prima assegnato all’Università degli Studi di Foggia per la facoltà distaccata di Economia dell’ambiente e del territorio e poi a elegante sede dei Servizi sociali; o, per citare altri lavori di ristrutturazione, 𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐏𝐚𝐥𝐚𝐳𝐳𝐨 𝐒𝐚𝐧 𝐃𝐨𝐦𝐞𝐧𝐢𝐜𝐨, con il restauro del chiostro e la riapertura del portico, prima occupato da uffici; 𝐢𝐥 𝐋𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨 𝐔𝐫𝐛𝐚𝐧𝐨 𝐂𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞 (LUC), dove prima c’era il vecchio mercato ittico; il rifacimento di 𝐂𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐌𝐚𝐧𝐟𝐫𝐞𝐝𝐢 𝐞 𝐏𝐢𝐚𝐳𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐨𝐩𝐨𝐥𝐨; le 𝐅𝐚𝐛𝐛𝐫𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢 𝐒𝐚𝐧 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨, ripensate anche come luogo di cultura e di animazione sociale; la pavimentazione di 𝐩𝐢𝐚𝐳𝐳𝐚𝐥𝐞 𝐃𝐢𝐨𝐦𝐞𝐝𝐞, con il suo bel disegno, a ricordare il percorso dell’acqua torrenziale che scende da Lama Scaloria; il 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨𝐦𝐚𝐫𝐞, con i colori allegri del Carnevale Dauno; la bella e innovativa struttura del 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐦𝐞𝐫𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐢𝐭𝐭𝐢𝐜𝐨 … Per fermarci al centro storico.

Sarà quindi bene ricordare a chi amministra oggi la città, come a chi vorrebbe farlo nei prossimi anni, che 𝐨𝐜𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐬𝐭𝐮𝐝𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐨, 𝐥𝐨𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐞 𝐫𝐞𝐜𝐞𝐧𝐭𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐫𝐢𝐜𝐚𝐯𝐚𝐫𝐧𝐞 𝐢𝐬𝐩𝐢𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐝𝐢 𝐜𝐫𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚, e, soprattutto, che occorre moltiplicare gli spazi di fruizione per il teatro, il cinema, la musica e l’arte, 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐬𝐚𝐫𝐚̀ 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐩𝐚𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐨 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐡𝐢 𝐯𝐞𝐫𝐫𝐚̀ 𝐝𝐨𝐩𝐨.