Nell’attuale fase di penuria di risorse, sono numerose le ipotesi su come affrontare le questioni finanziarie e la gestione dei beni appartenenti agli enti locali, e in modo particolare ai comuni.
Fra le tante operazioni di gestione e cogestione appare molto originale ed interessante l’esperimento proposto ai comuni di tutta Italia dall’Associazione Labsus, sorta in Emilia Romagna.
Il punto di partenza è la revisione della Costituzione italiana, entrata in vigore nel 2001, che ha introdotto il cosiddetto principio di sussidiarietà orizzontale, per cui : “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art.118 Cost.).
In pratica, rifacendosi al motto “Libertà è partecipazione” cantato da Giorgio Gaber e con lui da intere generazioni di giovani un tempo politicamente impegnati, il compito di Labsus, acronimo di Laboratorio della Sussidiarietà, è proprio quello di promuovere la sussidiarietà responsabile coinvolgendo associazioni di ogni città e, dotandole degli strumenti per attivare convenzioni con i comuni.
“Il tempo della delega è finito. L’ Italia ha bisogno di cittadini attivi, responsabili e solidali”, viene rimarcato sul sito dell’associazione, non per invocare improbabili modelli di democrazia diretta alternativi alla democrazia rappresentativa, ma per sollecitare i cittadini ad un impegno concreto, diretto a migliorare le condizioni di vita nella propria città ed a creare nuovi spazi di partecipazione democratica.
LABSUS ha redatto un prototipo di Regolamento per l’amministrazione dei beni comuni, e dal 2014 ad oggi, nella sua pur breve storia, ha già attivato 390 collaborazioni, anche con il sostegno dell’ANCI (l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani).
Nel 2017 ne ha attuato ben 113 patti, dei quali, spiace dirlo, solo otto riguardano città del Mezzogiorno d’Italia, nelle quali associazioni e amministrazioni comunali si sono rese protagoniste elaborando progetti e buone pratiche innovative, con positive ricadute sulle città aderenti, in vari settori: Ambiente e verde urbano; Arredo Urbano; Benessere; Beni Culturali; Coesione Sociale; Cultura; Salute; Scuola; Sport.
In Puglia, ad aver approvato il Regolamento sono i comuni di: Turi, Conversano, Gravina in Puglia e Bari Città per l’Area della Città Metropolitana di Bari, Ostuni, Carovigno e Brindisi Città per la provincia di Brindisi, Copertino per la provincia di Lecce, Massafra e Carosino per la provincia di Taranto.
Fanalino di coda è la nostra provincia, con zero regolamenti approvati, anche se lascia sperare la notizia dell’inizio della procedura per approvare il Regolamento da parte dei comuni di San Severo e Lucera.
Ma per andare più nel concreto e per comprendere meglio cosa si intenda per “Patti di Collaborazione” , analizziamo il Regolamento attivato dal comune di Monza.
Il Regolamento sottolinea come l’amministrazione condivisa sia un modello organizzativo in cui i cittadini e l’amministrazione condividono risorse e responsabilità nell’interesse generale. Partendo da questo presupposto, i Patti di Collaborazione si suddividono in due tipologie:
- Patti di collaborazione ordinari: destinati ai cittadini o associazioni che intendono realizzare interventi di modesta entità anche ripetuti sui medesimi spazi e beni comuni (interventi di: pulizia, imbiancatura, piccola manutenzione ordinaria, giardinaggio, allestimenti ecc). Per questi, basta presentare una proposta di collaborazione messa a disposizione dal sito comunale.
- Patti di collaborazione complessi: riguardano spazi e beni comuni che hanno valore storico culturale o dimensioni e valore economico significato, tali spazi sono destinati ad unità organizzative ad hoc, regolati in maniera più rigida con lo scopo di realizzare interventi di cura o rigenerazione che comportano attività complesse o innovative volte al recupero, alla trasformazione ed alla gestione continuata per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Chi paga?
Il regolamento non trascura le questioni di natura economica e ne parla in maniera chiara sia per ciò che riguarda l’impegno delle istituzioni sia per quello delle associazioni e dei cittadini. La messa a disposizione del bene, ovviamente non destinato ad attività commerciali, non si traduce in contributi in denaro derivanti dalle casse comunali (spesso vuote) ma si fonda esclusivamente sulla riduzione dei tributi, agevolazioni sull’imposta municipale secondaria, il comodato d’uso gratuito, l’accollo delle spese relative alle utenze, alla manutenzione e ai lavori, la messa in disponibilità di beni strumentali e materiali di consumo, l’affiancamento nel reperimento di fondi esterni.
Si tratta di una piccola speranza di partecipazione che può sensibilizzare alla vita pubblica coloro che intendono contribuire con le proprie idee e il proprio lavoro al miglioramento delle condizioni di vita della propria città. La formazione di cittadini esemplari può partire dall’ospitalità data alle idee in tali spazi.
Sarebbe interessante avere un riscontro dal comune di Manfredonia per sapere quali sono i beni comunali utilizzabili per tali finalità, al fine da proporre l’inizio dell’iter per l’approvazione del Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comunali e coinvolgere le associazioni radicate sul territorio a gestire tali oneri e onori.
Non che manchino nella nostra città esperienze di questo genere, comunque significative, anche se non rientranti pienamente in uno dei modelli sopra indicati.
Forse l’ultimo, in ordine di tempo, che vale comunque la pena segnalare, è la “Casa dei diritti”, l’immobile in Siponto ristrutturato dal Comune con fondi pubblici e, dopo la prematura cessazione del progetto iniziale, dato in comodato alla Cooperativa sociale IRIS per la realizzazione del progetto “Berimbao – Centro Servizi per l’Intercultura”, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Proprio lo scorso 20 ottobre il contratto di comodato gratuito è stato rinnovato fino al 30 novembre 2020 per consentire alla Cooperativa sociale, grazie ad ulteriori finanziamenti pubblici, di continuare il primo progetto e, per attivare un altro progetto (che vede la Regione Puglia come ente capofila), “La Puglia non tratta. Insieme per le vittime”, contro la tratta e lo sfruttamento sessuale ed economico degli stranieri.
L’impegno assunto in contratto dalla IRIS con il Comune prevede infatti l’apertura giornaliera di uno sportello sociale, per la consulenza e l’assistenza anche legale; uno sportello specifico contro la tratta; corsi di lingua italiana di primo e secondo livello per stranieri e corsi di informatica per agevolare l’inserimento lavorativo.
Insomma, non si parte da zero ed anzi ci sono ulteriori esperienze positive in città di cui varrà la pena dare notizia. I regolamenti Labsus offrono comunque una valida occasione di confronto perché queste esperienze vengano conosciute e messe in rete, e soprattutto perché ne nascano di nuove, dando a chi voglia impegnarsi, ed anche solo collaborare, maggiori informazioni, strumenti e assistenza.
Vito Saracino*
* Dottorando in “Cultura, Educazione e Comunicazione” presso l?università di Foggia
e ricercatore storico Fondazione Gramsci di Puglia.
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