di Nicola di Bari
In particolari momenti di crisi, in cui dilaga il senso di confusione e di smarrimento, come quello che sta vivendo tutta la Capitanata e in modo particolare Manfredonia, il ruolo dei “corpi intermedi” assume una valenza che va oltre quella sociale ed economica.
Quando parliamo di corpi intermedi pensiamo ai soggetti rappresentativi di categorie e di realtà economiche, agli ordini professionali, alle realtà associative di diverso tipo (educative, culturali, sindacali, sportive, religiose, del tempo libero, etc.), in modo particolare alla chiesa locale ed alle sue diverse articolazioni. Insomma, pensiamo a tutte le formazioni sociali cui si riferisce l’art.2 della Costituzione, per la quale, è bene ricordare “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
In passato i corpi intermedi hanno avuto un ruolo fondamentale nel processo democratico, al pari delle istituzioni, ma col passare degli anni questo ruolo ha perso progressivamente peso ed efficacia. Il loro linguaggio è apparso sempre più sterile ed autoreferenziale, quasi mai capace di farsi mediatore e interprete di un dialogo costruttivo.
Hanno sempre con maggiore frequenza cercato un rapporto diretto con il potere politico, spesso per garantirsi privilegi e in alcuni casi divenendo essi stessi luoghi se non espressione di quel potere.
E’ quindi tempo che tornino alla loro funzione originaria: di aderenza al territorio e ai suoi bisogni, di ascolto degli associati, di cui sono chiamati a farsi voce. Luoghi di confronto, ma anche di promozione di crescita e di coesione sociale. Quindi più ascolto, più discussione, più confronto e ricerca di nuove proposte che possano dare una risposta a problematiche comuni e complesse.
In particolare, i corpi intermedi che rappresentano realtà economiche (datoriali, sindacali, professionali, etc.) devono offrire più servizi e fare meno “politica”, intesa nella sua accezione deteriore, farsi intercettori delle problematiche dei loro associati e del territorio in cui essi operano in un continuo confronto con la base, offrire consulenza e assistenza nei momenti difficili, proporre nuove soluzioni organizzative e gestionali.
Anche per loro, il nodo focale sul quale riflettere è la riappropriazione del dibattito e dei luoghi di discussione per individuare soluzioni concrete e sostenibili sul piano dello sviluppo, della crescita economica, dell’innovazione continua e dell’occupazione.
In presenza di una politica che ha una strategia debole e manca di una visione di lungo termine, i loro organismi di rappresentanza hanno ancor più il compito e il ruolo di accompagnare, sostenere le imprese e lo sviluppo economico territoriale.
Le strutture territoriali che rappresentano l’industria, il commercio, l’agricoltura, i servizi e il lavoro, insieme alla politica e alla istituzioni della formazione (Università, Scuola etc) devono disegnare un modello di sviluppo innovativo, competitivo, attrattivo per i giovani, in grado di superare una fase di mancato sviluppo e di sottosviluppo che ha generato elevati tassi di disoccupazione, di povertà ed esclusione sociale permanente di giovani e la fuga di giovani talenti in altri contesti geografici nazionali e internazionali. Devono necessariamente concorrere ad arrestare l’emigrazione di queste risorse preziose, fatte di talenti e di competenze, contribuendo a creare un ambiente sociale, culturale ed economico stimolante, che crei opportunità per i giovani e occasioni per nuove e vecchie professionalità, altrimenti verrà meno anche la speranza di un futuro migliore.
Così come è indispensabile rifondare la politica su valori etici, di responsabilità sociale e di competenze solide, altrettanto necessario è rinnovare quei corpi intermedi divenuti nel tempo anch’essi centri di potere autoreferenziali, senza una strategia di sviluppo e una visione del territorio che rappresentano.
Occorre allora spingerli a ritrovare lo spirito nativo, che è il perseguimento degli interessi e del benessere degli associati, ma nello stesso tempo a essere istituzioni aperte alla società civile e alle sue istanze, perché essere corpi intermedi significa farsi anche carico delle problematiche sociali del territorio in cui essi operano, da rappresentare al potere politico e istituzionale in un confronto leale e nell’interesse comune a costruire una società più equa e solidale.
I cittadini non possono essere lasciati soli nell’affrontare i tanti problemi di povertà, di esclusione e di disuguaglianza creati da un’economia globalizzata e senza regole, e neanche nella necessità di dover spesso contrastare provvedimenti del potere politico ritenuti iniqui e ingiusti, se non di casta.
Trasformare i corpi intermedi da organi di potere e autoreferenziali a soggetti capaci di dare una spinta ulteriore alla crescita del territorio è l’altra grande sfida da affrontare.
Un recente studio condotto da Deloitte su 760 aziende europee localizzate in 16 Paesi e appartenenti a vari settori ha appurato che oggi per il 92% delle imprese intervistate la tecnologia è il principale fattore della loro innovazione, seguita al 2° posto dalle aspettative dei consumatori per l’86%. Gli investimenti in big data analytics costituiscono la parte più importante e, cioè la capacità di gestire e analizzare i grandi dati per proiettarsi nel futuro.
Per concludere con una proposta concreta, data la dimensione piccola e media del settore produttivo ed industriale, che non riesce a gestire ed analizzare i big data per mancanza di professionalità e del costo molto elevato, per il nostro territorio, questo servizio potrebbe essere realizzato e fornito dai corpi intermedi attraverso l’istituzione di un “Centro di Ricerca Studi sociali ed economici”, in un’ottica di sistema e di creazioni di rete e di conoscenza continua.
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