di Nicola di Bari
L’immigrato economico oggi è visto come un individuo residuale da scartare, come se non avesse diritto a vivere in una comunità che gli garantisca una propria individualità e dignità. Il nostro Paese sembra aver deciso di non averne più bisogno, ormai il dibattito pubblico e politico ha fatto emergere una differenza evidente tra immigrati “buoni” perché scappano da guerre e persecuzioni, ai quali viene concessa protezione umanitaria e quelli considerati non “buoni” perché vengono da noi solo per trovare un lavoro migliore o semplicemente un lavoro che non hanno mai avuto a casa propria, e la cui domanda di asilo viene rigettata.
Questi ultimi rappresentano più del 50% delle circa 173 mila richieste di asilo esaminate in prima istanza dalle Commissioni Territoriali competenti tra il 2016 e il 2017. Se non dovessero ottenere protezione umanitaria neanche nei successivi gradi di giudizio, dovrebbero tornare nei loro Paesi di origine. Sono circa 100 mila persone, il cui destino ufficiale è il rimpatrio, quello reale è invece la clandestinità.
In altri termini, il fenomeno immigratorio in Italia è ormai visto come una minaccia alla nostra sicurezza, e questo convincimento è generalizzato in ogni classe della popolazione. Si ha la percezione di una vera e propria invasione, il tutto amplificato da alcune forze politiche e da mezzi di comunicazione di massa a loro servizio.
Gli stranieri in Italia sono circa 6 milioni, l’8,3% della popolazione totale. Di questi 2,3 milioni ha un lavoro regolare e contribuisce al nostro PIL per 124 miliardi di euro, versa IRPEF per oltre 7,5 miliardi di euro e versa contributi previdenziali per 11, 7 miliardi di Euro.
Questi numeri ci dicono che invece di vederli come una minaccia e provare a rimpatriarli, cosa impossibile tecnicamente e per l’elevato costo, il Governo dovrebbe permettere una loro integrazione nella nostra economia, esattamente come dovrebbe fare per coloro a cui è riconosciuto lo status di rifugiato. Non solo, dovrebbe anche riaprire le quote di accesso per motivi di lavoro. E questo per le ragioni che un irregolare costa al Paese molto di più di uno straniero regolarizzato: lavora in nero; ha una maggiore propensione a delinquere; non paga contributi e Irpef, pur avendo accesso a servizi come istruzione e sanità. Solo attraverso la regolarizzazione un immigrato ha la possibilità di diventare come dice Salvini, “immigrazione positiva, pulita, che porta idee, energie e rispetto”.
Inoltre l’Italia continua ad avere bisogno di immigrati economici. La questione immigrati ha reso il dibattito politico e pubblico miope. I 6 milioni di immigrati regolari che vivono nel nostro Paese lavorano e pagano tasse e contributi e sono in maggioranza immigrati economici.
Il Presidente dell’INPS Tito Boeri ha ricordato a tutti l’importanza della popolazione straniera per la nostra economia sottolineando il tema del calo demografico e della sostenibilità del sistema previdenziale nel medio e lungo periodo in un Paese con il secondo tasso di invecchiamento al mondo dopo il Giappone.
L’importanza dei migranti nella nostra economia è nei numeri, essi costituiscono ormai il 15% della forza lavoro e contribuiscono alla ricchezza nazionale per 124 miliardi di euro. Quante famiglie beneficiano direttamente o indirettamente del lavoro delle badanti straniere? Quante aziende industriali e agricole chiuderebbero se non avessero operai stranieri? Come potrebbe sopravvivere l’industria del turismo senza immigrati che lavorano negli alberghi, nelle spiagge e nei ristoranti? E come farebbero gli ospedali senza infermieri?
Il punto vero che gli immigrati non sottraggono lavoro agli italiani, essi offrono servizi in aree dove c’è carenza di offerta di lavoro nazionale. Si pensi agli infermieri negli ospedali che ormai costituiscono il 10% del totale o dove un certo tipo di lavoro l’italiano non è più disposto a farlo, come nell’agricoltura foggiana, calabra etc.
Dobbiamo cambiare la prospettiva verso l’immigrazione vedendola come una opportunità e non più come una minaccia, sia in una prospettiva di lungo termine che immediata. La politica migratoria italiana deve essere indirizzata avendo come obiettivo una politica di lavoro attiva che colmi il calo demografico italiano e metta in sicurezza il sistema previdenziale futuro. Se così non sarà si prevede che fra qualche decennio in Italia ci sarà un lavoratore per ogni pensionato, è chiaro che il sistema pensionistico futuro non potrà reggere.
Purtroppo i numeri non sono né deformabili né discutibili, e, per quanto ostile all’immigrazione, il Governo dovrà rendersi conto che il Paese ha ancora un fabbisogno strutturale di lavoratori immigrati, e chi continua a negarlo per rincorrere consensi elettorali immediati non fa di certo il bene dell’Italia. Boeri, che oltre a essere il Presidente dell’INPS è professore alla Bocconi di economia del lavoro e tra i massimi esperti in Italia, ha affermato nella sua relazione annuale che alla luce dei dati sulla struttura del nostro mercato del lavoro e delle dinamiche demografiche, il sistema pensionistico italiano rischia di andare in crisi senza l’apporto di nuovi lavoratori immigrati. Salvini gli risponde accusandolo di vivere su Marte.
La differenza sta nel fatto che i dati di Boeri sono oggettivi e corretti mentre il Governo confida sulla percezione della maggior parte della popolazione, secondo cui gli immigrati sono troppi. Gli ultimi dati di Eurospes ci dicono che la maggioranza degli italiani pensa che siano tra il 16% e il 25% della popolazione totale, mentre in realtà sono l’8%.
Il punto vero e drammatico è che l’oggettività oggi si è trasferita su Marte. Si ha una percezione distorta del fenomeno migratorio e ciò lo dimostra uno studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research e condotto da tre economisti di Harvard, che dimostra che esiste una diffusa tendenza a sovrastimare l’incidenza degli immigrati nella popolazione. La conclusione più interessante della ricerca, e per certi versi più sconfortante, è ancora un’altra e riguarda il fatto che anche quando ai cittadini vengono fornite informazioni precise e affidabili circa il numero di immigrati, le loro caratteristiche religiose ed etniche e i loro sforzi lavorativi, che dovrebbero ridimensionare i preconcetti e mitigare le distorsioni, queste non cambiano ma, al contrario, si dimostrano impermeabili alla realtà. Questa immagine, per quanto falsata, conta molto, perché da essa scaturiscono alcune politiche invece che altre che potrebbero danneggiare irrimediabilmente il futuro del nostro Paese.
Un’altra informazione distorta che gira sui social e mezzi di informazione e che ogni immigrato costa 35 euro al giorno. Non si dice però come viene distribuita la somma. Si pensa che ad ogni straniero viene dato 35 euro al giorno, invece quella somma viene impiegata per acquisto viveri, medicinali, abbigliamento, mobili e arredi, residenza e personale addetto all’accoglienza e all’integrazione. All’immigrato vengono dati 2,50 euro al giorno per le loro esigenze personali, i restanti 32,50 Euro né beneficiano gli italiani attraverso stipendi, affitti di case, fornitura di viveri, medicinali, abbigliamento etc.
Pertanto chi gestisce l’accoglienza non mette in tasca neanche un centesimo di utile, il Ministero degli Interni riconosce solo le spese sostenute e quelle ammissibili dal progetto attraverso un complicato processo di rendicontazione. Ovviamente, ciò non esclude che, come in ogni altro settore, a gestire vi possano essere criminali o persone senza scrupoli che, attraverso processi di fatturazione inesistenti, sottraggano risorse ai beneficiari privandoli di quanto occorra loro per renderle persone dignitose.
Siamo diventati un Paese che non crede più in se stesso, che vede solo minacce, dall’Europa, dall’Euro, dagli immigrati, e, non sa più vedere le opportunità che possono nascere dallo stare insieme, dal condividere un percorso comune anche con una moneta unica da migliorare e da un’Europa più politica, dalle differenze che possono costituire una ricchezza soprattutto per
L’Italia ha bisogno di giovani e di lavoratori per farla crescere e sostenere la popolazione più vecchia al mondo dopo quella del Giappone.
La vera sfida che l’Italia deve affrontare, secondo Paese manifatturiero e terza economia europea, è crescere ancor di più nella produzione di ricchezza per rendere sostenibile l’enorme debito pubblico e il sistema previdenziale, e, per far questo è indispensabile arrestare l’emorragia di talenti che vanno all’estero, dare occupazione ai giovani e adottare una politica dell’immigrazione di inclusione ed integrazione.
In tutti questi anni l’errore più grave che si è fatto è quello di aver “desertificato” interi territori dalle menti più brillanti, soprattutto giovani istruiti e di grande talento, che hanno trovato lavoro in altri Paesi, e non aver colto che l’immigrazione, se vista come opportunità e ben gestita, è un ulteriore fattore di sviluppo e di crescita.
Un Paese che vede ovunque minacce alla sua sicurezza non ha nessun futuro.
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