di Gaetano Prencipe
Il 13 maggio del 1978, giusto quarant’anni fa, veniva approvata la legge n.180, la c.d. legge Basaglia, in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Per volontà di quello stesso Parlamento ancora scosso dalla drammatica vicenda conclusasi con l’uccisione di Aldo Moro, fu deciso che le porte dei manicomi venissero aperte e che ai quasi centomila malati che vi erano rinchiusi fosse restituita la dignità ed il rispetto dovuti ad ogni persona.
Da quel momento in avanti nessuno poteva più essere ricoverato senza alcuna tutela di legge e senza una comprovata necessità clinica. Per troppi anni, invece, era bastato poco per esservi rinchiusi e sottoposti a trattamenti violenti e degradanti, tra elettroshock, lobotomie e camicie di forza.
In Puglia, però, la legge non bastò: i manicomi di Foggia e di Bisceglie furono chiusi 32 anni dopo.
Quello di Foggia era uno dei più grandi manicomi d’Europa, con più di 700 posti letto. In troppi vi arrivavano con un biglietto di sola andata.
Nel 2010, quando fu chiuso definitivamente, aveva ancora 170 pazienti da trasferire nelle residenze alternative ai manicomi volute dalla legge. Un residuo psichiatrico, come veniva definito con linguaggio burocratico, che in una qualche maniera bisognava ancora smaltire, quasi fossero degli scarti umani che nessuno voleva accogliere e nemmeno vedere.
Da piccolo suonavo nella la banda “I Monelli”, composta da ragazzini dagli 8 ai 15 anni, e in quell’ospedale psichiatrico ci andavamo ogni anno, il primo maggio, per la festa di San Giuseppe Artigiano, e ci restavamo tutto il giorno, salvo la pausa pranzo.
Il manicomio era come un villaggio fortificato, una piccola città alla periferia della città, abitata dagli internati e dal numeroso personale che vi lavorava.
Giravamo per le strade intorno agli edifici sin dentro i padiglioni, dove suonavamo attraversando i vari corridoi che separavano gli stanzoni pieni di internati. E quando passavamo davanti alle camerate delle donne, immancabilmente, il personale di sorveglianza riusciva a malapena a proteggerci dalla loro voglia di toccarci e di abbracciarci. Le scene che si presentavano ai nostri occhi lasciavano ogni volta il segno. Non era facile restare indifferenti alla particolare esultanza che la musica suscitava in molti di loro ma ancor di più agli occhi persi nel vuoto di tante persone costrette in recinti all’aperto che parevano dei pollai.
A quelle immagini, in me ancora indelebili, qualche anno dopo si sovrapposero quelle scene di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, il capolavoro del regista Milos Forman, morto proprio il mese scorso. Il film, uscito in Italia nel 1976, portò finalmente all’attenzione del grande pubblico il problema degli ospedali psichiatrici e dei metodi inaccettabili di contenzione e di trattamento della malattia mentale, che allora sembrava non avessero alternative.
Ed invece, solo due anni dopo, l’Italia si pose all’avanguardia dei paesi civili rendendo possibile per legge ciò che per altri non era nemmeno pensabile: l’abolizione dei manicomi. Il relatore in Parlamento fu un democristiano molto combattivo, Bruno Orsini, che dovette superare non poche resistenze all’interno del suo partito, come dovette farlo Giovanni Berlinguer, responsabile della sanità del PCI.
Quella legge ebbe soprattutto un grande ispiratore, lo psichiatra Franco Basaglia, un eroe civile dell’Italia migliore del dopoguerra, che iniziò la sua rivoluzione a partire dall’Ospedale psichiatrico di Gorizia, dove arrivò agli inizi degli anni ’60. E come ogni vero rivoluzionario, fu capace di unire con coerenza la prassi alla teoria, il coraggio delle azioni concrete con il fascino e la forza delle idee con le quali è riuscito a sconvolgere la psichiatria ufficiale, mettendo al centro non più la malattia ma il malato in quanto persona, con i suoi diritti, i suoi bisogni e la sua unicità (a chi voglia approfondire, suggerisco di leggere L’istituzione negata, un vero cult, che personalmente lessi tutto d’un fiato nel 1978, con l’entusiasmo dei miei 19 anni).
Gli anni che seguirono all’approvazione della legge non furono affatto facili. La lentezza nella realizzazione delle strutture alternative volute dalla legge, il disorientamento degli operatori impreparati al cambiamento, la confusione nei ruoli tra lo Stato e le Regioni, alle quali furono in seguito delegati i compiti più importanti, crearono non poche difficoltà operative e, soprattutto, nella gran parte dei casi, posero a carico delle famiglie l’onere di accudire e fornire assistenza. Tant’è che furono ben 40 i disegni di legge presentati successivamente in Parlamento per abrogare o ridimensionare la legge 180.
Ancora oggi le difficoltà non mancano ed a farne un bilancio completo è un’indagine della Società Italiana di Psichiatria (SPI).
In Puglia nel 2017 sono stati 53.395 gli assistiti nei Centri di salute mentale e 6.087 i ricoveri , di cui 760 in regime di trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Sono stati invece 920 i ricoveri in regime di semiresidenzialità e 1580 i posti letto occupati in strutture residenziali. Le risorse umane ed economiche sono insufficienti per far fronte adeguatamente alla domanda di assistenza psichiatrica, che deve affrontare anche nuove forme di disagio psichico e di disturbo della personalità. E’ sentita anche la mancanza di sicurezza tra gli operatori (ancora memori della morte della psichiatra Paola Labriola, uccisa a Bari nel 2013 da un paziente con 70 coltellate).
A Manfredonia, oltre ad un Reparto Psichiatrico di Diagnosi e Cura presso l’Ospedale San Camillo de’ Lellis, dal 2007 opera anche il Centro di salute mentale (che svolge l’attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione psichiatrica, con un’equipe multidisciplinare) e il Centro Diurno per la riabilitazione psico-sociale, intitolato nel 2010 alla poetessa “Alda Merini”. La struttura in cui operano è quella in via Orto Sdanga, dove, oltre al coinvolgimento delle famiglie, trovano spazio anche esperienze di collaborazione con associazioni di volontariato ed altre espressioni della società civile.
Questa giornata in memoria di Franco Basaglia e della legge 180, oltre che ai pazienti ed alle loro famiglie va dedicata a tutti gli operatori, per ricordarci di quanto sia importante il loro lavoro per l’intera comunità cittadina e per ringraziarli per quello che fanno giornalmente per alleviare la sofferenza e migliorare la vita di tante persone, che troppo spesso non hanno altri cui rivolgersi.
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