Della stupidità umana, come categoria dello spirito, se ne sono occupati in tanti. E non solo nella storia del pensiero filosofico.
Celebre è il saggio di Robert Musil “Sulla stupidità” (che in realtà raccoglieva il testo di una conferenza tenuta nel marzo del 1937), nel quale il tema è affrontato con un linguaggio di rara eleganza e limpidezza.
“Non c’è nessuno che si comporti sempre con tutta l’intelligenza necessaria”, avverte Musil. “Perciò ognuno di noi, se non sempre, almeno una volta ogni tanto è stupido”. Del resto, il regno della stupidità appare vario e gradevole, mentre quello della saggezza il più delle volte si presenta come “una regione inospitale, dalla quale generalmente si fugge”.
Ma non è la stupidità occasionale a preoccupare Musil, quanto piuttosto quell’ atteggiamento collettivo che diventa terreno fertile per le scorribande del potere politico.
“Oggi le condizioni della vita sono tali – così complesse, difficili e confuse – che la stupidità occasionale dei singoli può diventare facilmente stupidità costituzionale della collettività. E ciò, alla fine, induce l’osservatore ad andare oltre l’ambito delle qualità personali e a considerare i difetti spirituali della società”, una sorta di “imitazione sociale dei vizi spirituali. Gli esempi sono anche troppo vistosi”.
E’ questa preoccupazione che lo porta a dire che la stupidità “è la più letale delle malattie dello spirito: una malattia pericolosa per la vita stessa”.
Ed è lo stesso monito che qualche anno dopo il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer lancia dalla prigione dov’è stato rinchiuso in attesa d’essere impiccato per la sua partecipazione all’attentato a Hitler, poi raccolto in un libro,“Resistenza e resa”, diventato a giusta ragione un classico.
Scritto dieci anni dopo la vittoria elettorale del nazismo, il testo di Bonhoeffer ( che si intitola proprio “Dieci anni dopo”) è una riflessione che ha molto da insegnarci, perfino più che in passato.
“Per il bene”, egli afferma, “ la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza (…) ma contro la stupidità non abbiamo difese”.
Non si tratta però di disprezzare chi si lascia abbagliare e trascinare dalle lusinghe del potere, credendo di pensare con la propria testa. E neanche basta indignarsi. Per Bonhoeffer occorre “imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno”.
“E’ qui la chiave del lavoro da fare”, sostiene Goffredo Fofi rileggendo Bonhoeffer in un articolo di qualche anno fa, “Il problema degli stupidi” (poi pubblicato nel libro “Zone grigie – Conformismo e viltà nell’Italia di oggi”).
Occorre tentare sempre il dialogo, la comunicazione diretta, per fronteggiare quella mediatica e istituzionale, così fortemente corrotta. E’ necessario farsi carico di un impegno personale e collettivo.
Per cominciare, però -sollecita Fofi – occorre riconoscere la propria parte di stupidità, a partire da quelli che si sono assunti responsabilità minime o massime nei confronti della propria comunità e della collettività.
In questo compito può esserci di sicuro aiuto l’ultimo libro del prof. Domenico Di Iasio, dal titolo “Stupidità e potere”, di recente pubblicato da Andrea Pacilli Editore e di prossima presentazione.
Un libro di agevole lettura, che si pone come oggetto d’indagine filosofica proprio “la relazione tra la stupidità e il potere politico ed economico nell’epoca della globalizzazione e della rivoluzione digitale”, sapendo che da sempre “il potere fa leva sulla stupidità, indotta e potenziata artificiosamente , per rafforzarsi e consolidarsi nel tempo”.
E lo fa partendo da Etienne La Boétie, un autore oggi completamente dimenticato, fraterno amico di Montaigne.
La grande questione che pone quest’autore, vissuto tra il 1530 e il 1563, è capire “come possa talvolta accadere che tanti uomini, tanti borghi, tante città, tante nazioni subiscano un solo tiranno che non ha altro se non il potere che essi gli attribuiscono”. Come possa l’uomo, che per natura è un essere libero, sottomettersi al comando del tiranno di turno, lasciandosi ingannare dai giochi del potere e dalle abitudini artificiosamente indotte (a partire dai giochi e dagli spettacoli pubblici).
C’è un’astuzia dei tiranni, avvertiva La Boetie, tesa a soggiogare le masse, e consiste “nell’istupidire i propri sudditi”. Una sorta di “stupidità sovrana”, sottolinea Di Iasio, per il quale “il potere politico è sempre fondato sulla sottomissione, la cui essenza è tutto sommato la stupidità”, visto che i governati, “pur essendo gli originari detentori del potere, lo cedono ai governanti, sottomettendosi volontariamente e desistendo così da ogni azione di contrasto e di resistenza. Da parte loro i governanti fanno di tutto per conservare il potere, ricorrendo a tutti i mezzi possibili, anche violenti”.
Alla prospettiva storico-filosofica dell’analisi, a partire da un’epoca nella quale il potere politico era svincolato da quello economico, Di Iasio aggiunge una lettura che guarda al presente, al ruolo dell’economia nell’era della globalizzazione per arrivare al “net-potere”, “il potere dei social network, che stanno invadendo la nostra esistenza e assorbendo il concetto di democrazia”.
Un tempo storico, il nostro, “che ci appare oscuro, disordinato e caotico, dove i conflitti diventano più agevoli e catastrofici e la stessa democrazia più fluida e nebulosa”.
Un libro tutto da leggere e di cui si farebbe bene a discutere.
Gaetano Prencipe
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