“Abito ai comparti”, sentiamo dire spesso da persone che abitano nelle nuove zone di espansione previste dal PRG. Ed hanno inizialmente chiamato “Noi dei comparti CA” anche l’associazione nata alcuni anni fa per iniziativa dei residenti in quelle zone, in gran parte giovani coppie, per far conoscere all’opinione pubblica cittadina le conseguenze dei gravi ritardi nella realizzazione delle opere di urbanizzazioni (strade, marciapiedi, illuminazione pubblica,…) e per fare pressione sull’Amministrazione comunale e verso quanti, a vario titolo, ne sono responsabili.
A pensarci bene, è da tanti anni che alle zone di nuova espansione dell’abitato di Manfredonia non viene dato il nome proprio di un quartiere o di un rione. In passato, l’esigenza di istituire i comitati di quartiere portò a chiamare i vari rioni “Monticchio”, “Croce” e “Scaloria”, nominandoli in base alla posizione geografica o alla strada principale lungo cui si erano sviluppati o, successivamente, in base alla parrocchia di riferimento. Una sorta di periferia diffusa e indistinta, che stenta ad assumere una propria identità e una vera dignità urbanistica.
In mancanza di nomi propri, i nuovi aggregati urbani hanno ufficialmente mantenuto il nome dato loro dal linguaggio burocratico se non dalle leggi urbanistiche che li hanno previsti: come il primo ed il secondo piano di zona, detti anche prima e seconda 167, dal numero della legge del 1962 che avviò il primo programma nazionale di edilizia economica e popolare, oggi chiamata edilizia residenziale pubblica.
In alcuni casi ci ha pensato il gergo popolare a ribattezzali, chiamando il primo piano di zona, spregiativamente, “Far west” (non solo per la sua posizione ad ovest), e, al contrario, la zona residenziale di maggior pregio edilizio, quella dei parchi (Parco Calabria, Parco Sicilia,…), ironicamente, “Dallas“ o “Anche i ricchi piangono”, come le telenovelas dell’epoca, per via della mancanza di negozi e di servizi di vicinato. Nomi che per fortuna capita sempre più raramente di ascoltare, anche perché nel frattempo sono stati inglobati nel tessuto urbano, con la presenza di scuole e di strutture pubbliche di vario genere.
Ora è la volta dei “comparti”, anche questa una parola tratta dalla legge urbanistica fondamentale (oltre che dal codice civile, anch’esso risalente al 1942), che li colloca nella sezione dedicata alle “Norme per l’attuazione dei piani regolatori comunali”.
Il nostro Piano Regolatore Generale (P.R.G.) di Manfredonia, lo strumento giuridico ed amministrativo di pianificazione e di governo del territorio comunale, approvato definitivamente nel 1998, ha tra le sue peculiarità proprio quella di aver suddiviso in tanti comparti edificatori sia le insule di completamento delle zone B attorno all’abitato (i cosiddetti comparti CB), sia le insule di nuova espansione (i comparti CA).
Sono ragioni nobili, quelle che il legislatore ha posto alla base dei comparti, perché mirano, da un lato, a non fare o quanto meno a ridurre le disparità di trattamento tra proprietari e proprietari di aree su cui poter edificare ed a ripartire equamente tra loro diritti ed oneri (la c.d. perequazione urbanistica), e, dall’altra, a non accollare sull’intera collettività i costi della realizzazione di opere di urbanizzazione che vanno a beneficio dei primi, perché vanno a beneficio delle loro proprietà, incrementandone il valore.
Nonostante le finalità positive, in Italia i comparti non hanno avuto un grande successo, sebbene siano poi stati previsti e disciplinati anche dalla legislazione urbanistica regionale, come quella pugliese.
Di certo, non sono stati molti i comuni che, come il nostro, nell’elaborare il nuovo P.R.G. ne hanno esteso l’uso obbligatorio all’intero territorio da edificare, non riuscendo, se non in minima parte, a prevedere i problemi concreti ai quali si sarebbe poi andati incontro e che ne avrebbero fortemente rallentato e per certi versi impedito l’attuazione (basti pensare, nel nostro caso, ai comparti CB, che, fatta eccezione per il CB3 – quello di Monticchio, zona San Giuseppe – sono rimasti fino ad oggi tutti sulla carta, e, probabilmente, così congegnati, non partiranno mai).
Le ragioni sono varie, la prima delle quali la difficoltà di mettere insieme i proprietari delle aree rientranti nel perimetro dei singoli comparti e di organizzarli in consorzi, per poi dar vita ad una progettazione unitaria degli spazi interni, pubblici e privati, da sottoporre al Comune per l’approvazione. Ma non solo.
Al di là della presenza o meno di sufficienti presupposti di convenienza economica, che in ogni caso devono sussistere per incentivarne o meno la realizzazione (e che mancano nei comparti CB, visti il loro basso indice di edificabilità e l’alta percentuale destinata a servizi), numerose sono state le difficoltà emerse in corso d’opera per la realizzazione di uno strumento che per molti versi esalta l’autonomia privata, dando agli stessi proprietari la possibilità di ideare e realizzare pezzi di città.
Un’occasione straordinaria, dunque, per proprietari di suolo, imprese edili, cooperative di abitazione e per tanti professionisti, che per quasi trent’anni hanno rincorso tale traguardo, al quale però si è poi arrivati in gran parte impreparati. Per non dire della struttura tecnica comunale, alla quale i comparti assegnano un forte ruolo di regia, a tutela del pubblico interesse all’ordinata edificazione oltre che a presidio del rispetto delle norme previste dal piano.
Credo ci sarà tempo e modo per un’analisi più puntuale dei problemi emersi e di quelli ancora da risolvere, non tanto per distribuire colpe e responsabilità, che comunque non vanno sottaciute, e men che meno per cercare capri espiatori, quanto soprattutto per affrontarli con maggiore consapevolezza e, se possibile, con maggiore condivisione, soprattutto per ciò che riguarda le possibili soluzioni.
Tra tutti, il più urgente resta ancora quello del completamento delle opere di urbanizzazione nei comparti già realizzati, abitati ormai da migliaia di residenti, per i quali, nell’anno appena trascorso, i lavori hanno comunque fatto notevoli passi in avanti: penso al CA1, al CA2, al CA5, al CA9 ed al CB3, che hanno visto o stanno per vedere l’ultimazione dei lavori spettanti ai Consorzi, che andranno poi collaudati e presi in carico dal Comune (che ne è già proprietario, in virtù delle convenzioni urbanistiche sottoscritte da più di un decennio).
Nel frattempo, tra i vuoti lasciati dagli spazi riservati al verde pubblico ed ai servizi, pubblici e privati, alla vigilia di Natale abbiamo visto sorgere una chiesa, costruita, questa sì, in tempi da record. Se non un miracolo certamente un segno di speranza, frutto concreto del lavoro e del grande impegno che vi è stato profuso. E’ dedicata a San Pio da Pietrelcina, come l’omonima parrocchia che ha esteso su quei comparti la sua giurisdizione.
Saranno chiamati “Quartiere San Pio”? E’ molto probabile. Io comunque proverei a fare un referendum o quantomeno un sondaggio tra i residenti. Anche la scelta del nome da dare ad un nuovo quartiere può diventare un’occasione di confronto, di condivisione e di partecipazione democratica. Perché no?!
Gaetano Prencipe
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